18.10.2003
Il giallo e l'azzurro: i colori del suo noir mediterraneo
di Michele De Mieri

Mi piace immaginare che ieri la notizia della morte di Manuel Vásquez Montalbán, pur arrivando dal lontano oriente (dalla Bangkok che rimanda ad un suo libro di vent'anni addietro, Gli uccelli di Bangkok), sia poi approdata da qualche parte sulle rive del Mediterraneo e che di città in città, di libreria in libreria, di sponda in sponda, abbia generato una catena a serrare prima che un ormai affermato genere letterario, quello del noir mediterraneo, uno stile di vita fatto di piaceri, impegno, rabbia e sguardi verso una linea dell'orizzonte su cui posare gli occhi per cercare di dimenticare il male, le brutture della vita che brulica nelle città di costa.

Mi piace immaginare che di voce in voce questo tam tam ideale abbia toccato dapprima l'amata Barcellona, e poi verso Marsiglia in cerca di Fabio Montale, il detective creato da Jean-Claude Izzo (anche lui scomparso tre anni fa), e di corsa un salto in Sardegna dove si depositano le storie di giallisti italiani come Marcello Fois e Massimo Carlotto: e qui c'è da scommettere che l'Alligatore, il detective creato da Carlotto, saluterà Montalbán con una doppia razione di Calvados.

E ancora verso altre coste, attraversando lo stesso mare, in Sicilia la notizia sarà arrivata a Salvo Montalbano, il commissario di Andrea Camilleri che già nel nome porta impresso l'omaggio dello scrittore siciliano allo scrittore di Barcellona. E tra Napoli, Palermo e l'entroterra della penisola c'è ne sarebbero di figli prossimi o lontani di questo genere, di quel modo che circa trent'anni fa un Montalban poco più che trentenne inaugurò, quella maniera di amare la gente e le città del mediterraneo descrivendone il marcio, i delitti, gli abusi d'ogni sorta. Non c'era molto all'inizio degli anni Settanta in letteratura che si prendesse la briga di raccontarci l'incontro tra i poteri legali e quelli illeciti, tra i desideri della gente della sponda sud e le paure di quelli della sponda nord, non c'era neppure il piacere di scoprire questa diversità mediterranea attraverso il mezzo più semplice: il cibo («- Marx ha detto che si conosce un paese solo quando si è mangiato il suo pane e si è bevuto il suo vino. - Marxista? - Sezione gastronomica», naturalmente sono parole di Pepe Carvalho), ora tutto questo è presente in abbondanza in tutte le letterature di genere di quest'area.

Ed è per questo che la notizia sarà sicuramente giunta anche ad Atene al commissario Kostas Charitos e al suo creatore Petros Markaris (è questa Atene pre-olimpica sicuramente è stata anticipata dalla Barcellona del 1992 raccontata da Montalban), avrà poi toccato la sponda africana dove sarà giunta a Yasmina Kadra, a Driss Chaibi e a tutti coloro che ancora non conosciamo e che si stanno già raccontando Algeri, Il Cairo, Tunisi, Casablanca, Tel Aviv, attraverso quel cocktail semplice ed efficace che vuole un uomo solo (poco importa se cane sciolto o commissario di polizia) dentro, e a volte contro, una moltitudine, un uomo solo che spesso ha un passato burrascoso e che lentamente ci viene svelato, un'epoca dei sogni e delle lotte che ora si scontra con le regole e con la certezza di non poter più cambiare il mondo.

L'uomo solo di Montalbán è stato Pepe Carvalho fin dal 1972, un barcellonese del rione Raval (che non riesce mai a dormire a Madrid) dal passato intrigato e col presente scandito da pochi e chiari riti: la passione per il cibo e quella per il falò di libri (se ripassiamo la serie intera ci accorgiamo che Carvalho ha bruciato un'intera immensa personalissima storia del mondo; ma attenti Pepe lo fa per sé il suo non è un additare agli altri un indice: ora è il suo solo modo di continuare ad amarli, a ricordarli).

Questo uomo solo ha generato tanti suoi simili che non si aggirano più solo nelle latitudini anglossassoni o per i caffè parigini ma ha dato opportunità ad altri suoi simili di scegliersi come scenario la propria porzione di realtà, di mondo. Carvalho ha girato e gira ancora il mondo ma questo non ci deve trarre in inganno: lui guarda il mondo sempre da Barcellona, si giova della sua luce, e dalla sua tavola apparecchiata sta bruciando l'ultima copia proprio di un libro di Manuel Vásquez Montalbán.